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"It doesn't matter what you do, as soon as you do it with Passion.."

Vento. -

Ripartire dal vento. Fischia; forte e imperturbabile sugli infissi delle finestre, batte contro automobili e trascina polvere primaverile, polline, odori e umori sparsi per questo postaccio. Fa un freddo fottuto, devo tenermi le mani in tasca e scaldarmele sbuffandoci sopra ogni tanto... Il Vento così forte mi causa un profondo mal di testa. Sento le tempie gelarsi e confondersi in uno spazio di pensieri, irritazioni, stupidi doveri che si insinuano come un tarlo e picchiano la mia testa spiattellandola contro un muro. Fanculo.
Oh sì, Fanculo.
Fanculo con così tanta forza e impeto che gridarlo non sarebbe abbastanza, vorrei sbraitarlo, sputarlo, vomitarlo e lanciarmici in mezzo.
Un bellissimo vaffanculo cosmico.
Una masturbazione ossessiva di vaffanculi cosmici.
' Devi tornare a scrivere, non stai scrivendo ' mi bacchetta Luca.
E' un dovere la scrittura?
Dove sta 'scritto' ? Ho firmato? Ho pattuito qualcosa o c'è qualche clausola in chissà che contratto, magari posta in una piccola postilla a fin di pagina... Una di quelle che hai bisogno degli occhiali per leggerle e sembrano sbavature d'inchiostro stampato.
Devo scrivere. Categorico. Ancora mi sfugge chi me l'abbia imposto...
Crescendo ho imparato che le nostre passioni, hobbies, momenti di libertà, diventano impegni stressanti che ti mettono nella condizione di farli, o non farli e sentirti poi di aver quasi sbagliato nei confronti di te stesso.
Si, perchè è come per la danza. Prendiamo ad esempio una ragazzina che fin da bambina sogna di diventare ballerina e viene mandata dai suoi genitori adorabili e benestanti, in una scuola di ballo di tutto rispetto. Dopo dieci anni la ritroverete a imbottirsi di pillole dimagranti, guardarsi le costole e sentirsi imperfetta, avere l'ansia addosso di essere stata l'ennesimo fallimento imbarazzante durante la sua lezione ; ed essersi subita l'ennesimo rimprovero della sua insegnante che più che essere cortese e comprensiva, non fa altro che farla sentire più sbagliata, più imperfetta, più sgraziata. Più come un maiale, che come un cigno.
E allora io prenderei quella ragazza poggiandole due dita sul mento, le farei alzare la testa e lo sguardo pieno di odio nei confronti di sè stessa e le chiederei, sfidandola ad accettarsi:
' E questa... è una passione o una condanna? '
Già. Questo è crescere con una passione. Una libertà che finirà per ingabbiarti come tutto il resto della tua vita. Non sarà diverso da un lavoro, anzi sarà peggio, perchè quelli come me o quella ragazza, non potranno permettersi di essere ' accettabili ' e di aver prodotto risultati ' sufficienti ' ; Non è sopravvivenza, non è chiudere la propria ventiquattrore e rendersi conto che la giornata è passata e ora ci si può snodare la cravatta e sedersi a cena a tavola mangiando la pasta che nostra moglie ci ha preparato.
No.
Quando uno crea, ama... Non può perdonarsi di aver fatto qualcosa di riuscito a metà.
E' come essere maniaci, compulsivi, ossessionati dalle perfezioni delle righe su cui scriviamo contro i nostri fogli.
Il Capo mi chiama, con voce forte e autoritaria.
' Claudio, ritorna a lavorare. '
Potrei continuare dopo. Salvarmi la bozza e ripescare con tranquillità il mio scritto e risputarci sopra nuove cose.
Perchè volete trovare il punto. Volete il finale e il proseguimento.
Ma sapete che c'è?
Il Vento porterà via anche le ultime parole rimaste concatenate solo tra la mia testa e il mio polso.
Voi non capirete, non capirete mai. Non capirete un cazzo.
Perchè voi vivete vuoti e privi di ogni elettrico pelo che si staglia contro il grigiore della metropoli.
Voi non sapete neanche che sapore abbia, il vento.
Inodore, incolore, inesistente.
Devo scrivere.
' Tu devi scrivere. '
Cosa scrivo, se le punte dei miei piedi sono storte mentre ballo?!

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''Ti va di andare al mare?''

Era finita anche l'ultima goccia di quel rosso annacquato,


I pensieri sbiaditi dalla frenesia del peccato,


Mentre moriva nei loro occhi anche l'ultimo bagliore di sobrietà.


Dovevo attaccarmi alla vita, come una goccia di pioggia al vetro dell'auto in corsa, cercando quanto meno di resistere alla forza gravitazionale della tristezza.


In fondo, pensandoci, sul quel tavolo di carte così alte non ce n'erano, ed io avevo una buona coppia di Q.


Avrei potuto chiudere la partita, riscuotere il mio premio e andare casa soddisfatto, vuoto certo, ma soddisfatto.


Tutto ciò era attraente.


Mi sentivo padrone di me stesso, ma nella mia mente iniziava a farsi lentamente strada, passo dopo passo, la tua idea, soppiantando il mio autocontrollo. Il ricordo del tuo profumo mi stava soffocando...


Come un colpo di pistola partito per errore ero sorpreso dal pensiero di te, ma dove una pistola può lacerare la carne e provocare dolore, tu potevi trafiggermi l'anima e farmi sorridere.


Mi venne in mente quella sera di Giugno. Volevi andare al mare, fare una passeggiata.


Ero dannatamente felice.


Osservavo il calice vuoto. Iniziavano a condurre il gioco. Il mio corpo cominciava a muoversi.


Ma la mia mente,


Era al mare, con te.

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Un noi, in questo momento, fa più paura di un io.

​Ho consumato la mia ultima idea guardandoti negli occhi, 

Credendo fossi l'unica in grado di razionalizzare i miei pensieri. 

Non so se riesci a guardarmi dentro, a sentire il peso che ho addosso come io sento il tuo respiro sul mio collo. 

Non capisco il tuo gioco. 

Ti avvicini. Ti allontani. Giochi con altri cuori infranti. 

Vorrei averti solo per me, e rivelarti cosa c'è oltre, quello che in pochi hanno visto e che in meno sopportano. 

Vorrei mostrarti me stesso. 

Ti vedo danzare con i miei pensieri, 

E lascio che assapori ciò che resta, 

Mentre tento invano di capire perché alla base della mia paura di perderti ci sia la mia paura di averti. 

Forse... 

Si, forse non ci sarà mai un noi. Siamo solo parole che incido nella mia mente per non dimenticare il tuo sapore. Poi spariremo, ognuno per la sua strada, senza essere mai stati vicini per davvero. 

Ho già distrutto legami importanti. 

Distruggerò anche i nostri abbracci.

Perché un noi, in questo momento, fa più paura di un io.

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Apatia

Mio padre mi regalò una stilografica 

ma io non la seppi utilizzare.

Inabissato in una vita apatica

aspetto di essere travolto dalle onde del mare. 


Avvolto da una soffice angoscia

mi lascio condurre verso una dolce fine, 

divorato da una giocosa noia 

mi rinchiudo nella sicura inquietudine. 


Voci e passi, fughe e grida sento attorno a me

l'albatro consapevole del suo destino

osserva dall'alto i suoi assassini.


Io immobile e incatenato da dannose abitudini

consumo la mia esistenza nel vino,

amico delle nostre sofferenze.

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IL ROSSO DELLE CARSON

Sono stato al cimitero ogni tanto. Non per trovare i miei parenti, non mi è mai neanche passato per la testa, dato che neppure noterebbero la mia presenza.

Ci sono andato per altri motivi che non ha senso elencare.

Riflettendo; quanti vanno al cimitero per trovare i propri parenti?

La risposta è: pochi, e dipende dal periodo. Durante l'anno nessuno si reca dinanzi alla lapide del proprio caro perchè a nessuno affiora neppure il ricordo del parente morto. Esiste però un periodo nel quale i cimiteri sono cosi affollati da fare invidia ad un locale a luci rosse che regala a tutti i clienti un'ora di ''massaggio romantico'' . Questo, è il giorno dei morti. Una festività alla quale, per quanto mi ci sia sforzato, non son riuscito ad attribuire un significato. Tutti i gatti randagi amano quei due giorni perchè ci sono una moltitudine di vecchie sconsolate che convergono in massa verso l'entrata di quel cancello, il che può significare solo una cosa: cibo e carezze. Un lusso che dura poco però. Io mi diverto quasi come quei gatti in quel periodo. Vedo queste persone che fanno arricchire i fiorai che lavorano soltanto in quei due giorni dell'anno. Vedo anziani e cristiani perbenisti che corrono nelle case dei morti con il loro mazzo di Scarlett Carson da 50 euro per mostrare agli altri colleghi visitatori del parco l'affetto provato nei confronti dei parenti addormentati, affetto proporzionale alla grandezza del mazzo di fiori.

(Perchè mi immagino le Scarlett Carson? Non lo so, le rose non sono fiori da cimitero penserete, eppure sono i fiori che mi viene spontaneo immaginare.)

E' divertente anche ascoltare i loro discorsi. Non si domandano di chi sia il nome inciso sulla lapide posta difronte alle loro lucide scarpe nere, pulite appositamente per risplendere e riflettere la rossa luce dei cerini. Si chiedono che fiori portano in braccio e quanto abbiano speso, sperando che dalle labbra di chi risponde fuoriesca una cifra inferiore a quella spesa da loro stessi, in modo da poter ribattere riferendo prontamente e con tono soddisfatto il prezzo allucinante che il fioraio di turno ha inserito a penna sul cartellino, prendendosi gioco dell'ingenuità dell'acquirente. Oltre ai partecipanti alla gara del prezzo maggiore, esiste un'altra categoria di persone: coloro che credono veramente nella vita oltre la morte e sperano di poter comunicare con la persona che giace sotto la terra che sporca le loro ginocchia.

Teoricamente meno esilaranti dei primi; io li adoro. Vedere gente che si reca in un cimitero a parlare con un pezzo di marmo con una foto attaccata davanti. Vederli mentre imbrattano di saliva il volto ritratto nella foto con i loro baci pieni di tristezza, desolazione e rimorso.

Emanano un senso di disperazione così forte che quasi è in grado di prendere forma materiale. Attorno a loro aleggia una nube di dolore affievolita dalla credenza che i loro amichetti dormienti li stiano ascoltando seduti su una nuvoletta vicino ad un vecchio signore con barba lunga e capelli bianchi. (Ovviamente tutti loro son convinti dell'esistenza del paradiso e dell'inferno ma nessuno osa immaginare che un loro parente possa patire fra le fiamme dell'inferno. Tutti immaginano i propri defunti varcare il dorato cancello del paradiso). Ipocriti. Spero soltanto che quando morirò e sarò sepolto potrò essere attraversato da un soffio vitale nel momento in cui uno dei miei amici o parenti perbenisti venga a parlarmi e a sporcare la mia terra di lacrime. Vorrei che il mio cuore pompasse sangue coagulato con minima percentuale di ossigeno, quel tanto che basta per farmi sfondare la bara, e fuoriuscire da sotto terra per strappare gli occhi dalle orbite di quei lamentosi ed indottrinati personaggi, vedere il sangue che fuoriesce dai bulbi vuoti come la loro mente, mescolarsi al caldo rosso delle Carson appoggiate in terra.

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