​Paranoia. Ossessione. Odio verso sè stessi. Alienazione.
Guardo il mio volto allo specchio, prima di andare in onda. 1...2...3.. osservo ogni centimetro della mia pelle, ogni angolo, linea, in un'assenza di armonia che mi crea solo la nausea di ciò che ho bevuto la sera prima. Non è il non piacersi, è il farsi schifo. Mi sembro così imperfetto, così insoddisfacente, noto ogni difetto, ogni angolo delle labbra che non dovrebbe essere piegato così, ogni espressione, le faccio allo specchio come De Niro in Taxxi Driver, ma non mi convinco. Sono come un Attore che prova la messa in scena e riguardandosi stomacato, riprova la parte, ancora, infinite volte, tante che il tempo scorre e ho passato ore a guardarmi allo specchio e a toccarmi senza riconoscermi.
Il mio pubblico non deve vedermi così.
Il mio pubblico deve vedermi perfetto, come quella volta in cui tutti mi scrissero che ero bellissimo.
Eppure mi hanno visto... Almeno sei volte, dopo quel giorno. In due mesi, hanno visto il crollo scolpirsi sulla mia faccia e forse, sono pure arrivati a quel disgustoso senso di compassione nei miei confronti.
Anche ora mi dicono che sono bellissimo. Lo fanno perchè vogliono io ci creda davvero, non perchè lo credono loro. Lanciano la monetina nel mio bicchiere, costa poco, una frase, un pensiero. Ma io li noto, li conosco, osservo le loro facce pur lontane e capisco, riconosco, che io sono solo un mostro.
E allora riprendo in mano la mia camicia, la riabbottono, rimetto le mani nei capelli e compulsivamente li sistemo. Minuti che diventano ore. Occhi che diventano pesanti.
Ancora non mi piaccio, ancora non sono pronto per andare in scena. Sono ad ogni comparsa, un centimetro peggio di quella precedente. Cosa penserà di me, il mio pubblico? Si rassegnerà? Probabilmente si è già rassegnato. Non che a loro cambi molto, finchè la performance messa in scena è decente, ma a me sì. A me cambia. Cambia sapere che non ho eccitato i loro corpi, che non sono rimasto fisso nella loro testa alla fine dello spettacolo, che hanno parlato, si sono guardati e sono tornati a casa con le loro facce sul cuscino e le loro dita tra le mutande umide.
Senza desiderio, uccidi un Dio.
Non sono più in grado di attrarre, neanche se mi collego col cosmo e provo a stare e sostentare al suo bisogno. Voi, la chiamate moda , tendenza, stereotipo. E io, ho provato a seguirne qualcuno, a modificarmi e cambiarmi come un bruco che diventa farfalla inseguendo una trasformazione non mia.
Falena.
La gente odia le falene e a me stesso, fanno abbastanza schifo.
Un mostro geneticamente scorretto, un'aberrazione umana... E se pensate che questo, sia troppo per qualcuno che fa del male a sè stesso, dovreste vedere quando arrabbiato mi stringo con le unghie sulla carne, come per strapparla, dal mio viso, dal mio corpo, dai miei occhi. Vorrei solo tirarla via e rifarla come meglio credo.
Non ha funzionato niente, nessuna ricetta, rimedio, consiglio.
Sono morto ed è morto il Sesso che ispiravo, da quando lei, Ludovica, mi ha guardato per la prima volta coi suoi occhi profondi tanto da svuotarti di ciò che sei.
E' iniziato da lei. Da quando sapendo che lei mi guardava, seduta tra gli spettatori, io non ho fatto altro che pavoneggiarmi e giostrarmi provando a piacerle, un po' di più.
Non che chiedessi tanto, mi sarebbe bastato provocarle addosso l'esatta sensazione che lei faceva a me. Quale fosse, chiedete? Era quella cosa che ti capita quando incontri un uomo od una donna, talmente... stranamente... belli... da non riuscire a non guardarli, fissarli, indipendentemente dal quante persone stiano attorno, vi sfiorano o sbattono contro la vostra spalla di passaggio. Voi siete drogati, in un cerchio che si assottiglia... Posso eccitarmi anche solo guardandola bere un Drink e vedere il suo collo muoversi facendo scendere la bevanda fino allo stomaco. Io sono quel Drink, mi sento come se le stessi entrando dentro e spogliandola di ogni dettaglio. Riesco a vederla nuda, a sentire che caldo avrebbero i suoi seni stretti tra le mie mani... Eppure sono distante, non posso toccarla, ma i miei occhi, le stanno addosso e svestono la sua carne nuda.
Da quel giorno io non avevo un pubblico. Io avevo Ludovica. Le altre persone scomparivano, come inconsistenti statue di fumo e ad ogni mio spettacolo, riuscivo solo a concentrarmi su di lei e sulle reazioni del suo viso.
Ma non le piacevo, mai.
Anche quando sorrideva chinando il capo e arrossandosi le guance, teneva una distanza tale da farmi sentire piccolo ed inutile come una foglia mossa dal vento. Era gentile. Tanto da saper fingere quello che le chiedevo implicitamente. Ma io notavo la sua finzione, ogni bravo attore la nota e man mano che lei calzava e recitava il suo personaggio, io mi scordavo del mio, mi disfacevo come carta bruciata, davanti a tutti i miei spettatori.
Ero nudo anche con un maglione addosso.
E vedevano addosso l'odio che provavo per me stesso.
Il senso di impotenza mi corrose, si nutrì del bello che avevo creato e se lo portò via, buttandolo tra i piedi di Ludovica che distratta, lo calpestò ammazzandolo.
Venne ai miei ultimi spettacoli ma non si sedette più in prima fila. La vedevo sullo sfondo, vicino alla porta e anche se le luci erano abbaglianti e bruciavano le mie pupille, potevo vederla... ridere?
Rideva di me.
Fu allora che mi resi conto, che il pubblico in sala si era svuotato, le poche persone rimaste, perplesse guardavano imbarazzate la mia penosa messa in scena. Lei ci fu. Fino all'ultimo. Fino al mio ultimo solitario spettacolo.
Fui solo su un palco. Solo da sentire il freddo della sala gelarmi le ossa. Che spettacolo penoso.
Cieco e perso nella mia immagine di mostro riflessa in un vetro scheggiato, sentii i suoi tacchi risuonare sul pavimento e muoversi nella mia direzione.
Alzai lo sguardo, ma tutto ciò che vidi furono le luci accecanti ed un vestito nero con forme bellissime ed una mano con una sigaretta Clark imbevuta di rossetto.
' Ti amo. '
Fu l'unica frase che riuscii a sussurrare, poco prima di morire.
L'ultima cosa che vidi, fu il suo sorriso malizioso farsi soddisfatto. Da come arricciò le labbra, capii perfettamente cosa potesse pensare in quel momento:
' E' stato facile. '
Poi, svenni esanime a terra.
Come un usignolo che muore e ritorna Corvo, mi svegliai l'indomani attaccato a degli strani macchinari lampeggianti, bip assordanti risuonavano nelle mie orecchie e camici bianchi si spostavano come fantasmi....
Un giorno un mio amico mi disse: ' Ricordati che nonostante tutto, sei ancora vivo. Che domani ti sveglierai e sarai ancora vivo. Che anche se la notte sarà buia, sarai vivo. Finchè sei vivo, non hai motivo per stare male. '
Ero ancora vivo. Come tutte le altre volte. Ero lì e la mia testa funzionava, potevo sentirne le immagini a cui avrei dato vita ed i capolavori che ancora dovevano essere scritti. C'era malessere, ma scavandoci sotto, potevo vedere che non era morta la mia creatività. Così come la mia bellezza, che sembrava piangere come un'ombra tagliata via in un angolo, ed era arrabbiata con me e mi strillava ' Come hai potuto dimenticarti di me, per lei?! '
Allora le risposi: ' Vedi piccola ombra, il problema di noi esseri umani... è che non bastiamo mai a noi stessi. '